La questione dei rifiuti ha una dimensione paradigmatica: la qualità della città del futuro dipende in gran parte dall’avanzamento culturale, tecnologico ed organizzativo di questo settore oggi marginalizzato dal piano e dal progetto (Pavia 2015).
Un settore di cui sappiamo ancora poco per cui, per dirla con Italo Calvino, non sappiamo ancora di preciso “dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai” (Calvino, 1972). I rifiuti urbani organici (scarti alimentari e sfalci) sono in Italia secondo il rapporto ISPRA del 2015 circa il 35% del totale qualcosa intorno ai 10 milioni di tonnellate, di questi solo 4,4 milioni vengono avviati ai centri di compostaggio, il rimanente viene trasferito negli impianti di digestione anaerobica (453.000 tonnellate), agli inceneritori (una quota rilevante dei 2,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati), ma soprattutto nelle discariche dove vengono conferiti circa 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti biodegradabili. Il dato, secondo il Consorzio Nazionale Compostatori, dovrebbe migliorare nei prossimi anni, portando da 94 a 120-130 Kg/anno abitante i rifiuti organici da trattare. Oggi ogni abitante ne produce 172 Kg/anno. I centri di compostaggio (in Italia sono 279 per la gran parte localizzati nelle regioni settentrionali) sono impianti che accelerano il processo biologico di fermentazione e decomposizione dei rifiuti organici trasformandoli in terriccio da utilizzare come ammendante per migliorare le caratteristiche fisiche e chimiche dei terreni. Gli impianti di compostaggio possono essere aerobici e anaerobici, questi ultimi producono un compost digestato (utilizzabile nel settore delle costruzioni e come materiale per la copertura delle discariche), ma soprattutto biogas ricco di metano.
E’ il compostaggio aerobico che a noi appare il processo su cui investire maggiormente. Il suo prodotto, è un terriccio, un nuovo humus in grado di fertilizzare i suoli, ristrutturare i terreni rendendoli più resistenti nei confronti dell’ erosione, più idonei a conservare l’acqua e incorporare carbonio. L’impiego del compost è molteplice e varia a seconda della sua composizione chimica: dalle diverse colture agricole, al verde urbano, al vivaismo, alle opere di bonifica, di forestazione, di drenaggio. Il suo ambito di applicazione è il suolo urbano e il territorio nel suo insieme. In questo senso ha ragione Gilles Clement quando ci invita a coltivare la Terra come grande giardino planetario (Clement, 2008).
Dobbiamo intendere il consumo di suolo in modo più ampio, non solo come occupazione di suolo urbano, ma anche materialmente come usura, degrado, impoverimento, desertificazione dei terreni. Il suolo è una risorsa fragile, limitata, da rigenerare di continuo.
Per avanzare in questa direzione è necessario fare del compost una sostanza strategica. Occorrerà produrne di più e in modo diverso: non solo attraverso nuovi ed efficienti impianti industriali, ma anche attraverso una pluralità di piccoli e medi impianti. In Italia il compostaggio domestico e di comunità è una realtà in crescita, ma del tutto marginale. Il compost prodotto è destinato all’autoconsumo e non può essere commercializzato (anche perché mancano norme specifiche e sistemi di controllo igienico e di qualità). Solo recentemente nell’ambito del Disegno di Legge “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” si è definito (art. 37) il ruolo del compostaggio di comunità, portando a 80 tonnellate annue la capacità di trattamento dei rifiuti biodegradabili. La norma non è di poco conto perché apre un nuovo ambito operativo di sicuro interesse, anche se tutto da definire sul piano organizzativo, di controllo e di gestione. Un impianto per il trattamento di 80 tonnellate di rifiuti organici domestici può servire ad una comunità di circa 150-200 nuclei familiari. Non è molto (l’impianto può essere riferito a gruppi di condomini o, se articolato in più dispositivi, a complessi residenziali), ma è sufficiente per pensare ad una diversa configurazione spaziale della raccolta differenziata dei rifiuti organici e del loro trattamento per avviarli al riciclo.
La questione va inserita nel più ampio discorso della gestione dei rifiuti urbani di cui va ricordato l’ancora basso indice di raccolta differenziata (il 45%, nel 2014) e la sua netta separazione dal piano urbanistico e dal progetto dello spazio pubblico, a partire dalla configurazione dei luoghi fisici di conferimento. Da una gestione settoriale e centralizzata occorrerà sperimentare modelli più flessibili, policentrici, articolati per insiemi, a partire dall’abitazione, dal condominio, dal vicinato, fino al cluster, alla città, agli impianti industriali di trattamento. Questi ultimi, sia quelli TMB (Trattamento Meccanico Biologico), sia quelli di compostaggio, sono infrastrutture di grande dimensione localizzate a distanza dalla città, nelle aree industriali o nelle aziende agricole.
Il modello policentrico per la raccolta differenziata può essere ulteriormente affinato entrando più nel merito della gestione dei rifiuti organici. Allo stato attuale, anche in relazione all’interesse per l’agricoltura urbana e alle nuove normative sul compostaggio di comunità, è verosimile prevedere uno sviluppo del compostaggio all’interno del sistema urbano. Per il compostaggio domestico (fino ad ora realizzato attraverso dispositivi assai semplici collocati nei giardini e sulle terrazze) si può far riferimento a piccoli impianti elettromeccanici non più grandi di un comune elettrodomestico. Impianti più grandi, capaci di trattare 5-10-20 tonnellate annue, possono servire piccoli e medi condomini. Questi dispositivi, già in uso nel Nord Europa ma anche in Francia e Svizzera, sono in via di sperimentazione in Italia anche grazie all’impegno di ENEA, Agenzia Nazionale per l’Efficienza Energetica (Landolfo, Musmeci,2013)
Siamo all’inizio di una fase di sperimentazione e innovazione. Se si desse impulso al compostaggio individuale e collettivo, sostenendo la domanda con incentivi, indirizzi normativi, strutture di vigilanza, di certificazione della qualità e di controllo d’igiene, si aprirebbero nuovi spazi d’intervento per il settore manifatturiero e dei servizi con effetti positivi sull’economia e l’ occupazione.
Un modello policentrico
Ma è sul piano dell’organizzazione spaziale della città che conviene soffermarsi. Agricoltura urbana, verde pubblico e privato e compostaggio possono costituire una filiera virtuosa con positive ricadute sulla qualità ambientale e la forma della città. Sia chiaro non stiamo sostenendo di esaurire il trattamento dei rifiuti organici con il compostaggio domestico e di comunità, ma siamo convinti che esso possa dare un contributo sostanziale al tema del riciclo. Riciclare i rifiuti organici in ambito urbano produrrebbe una riduzione dei trasferimenti e dei costi di trasporto, affermerebbe un modello policentrico in cui anche i grandi impianti industriali di compostaggio dovrebbero adeguarsi, aumentando in modo consistente il loro numero e decentrandosi nelle cinture verdi intorno alle città. Riciclare gli scarti alimentari significa differenziarli, osservare con attenzione quello che resta dei nostri pasti. Questo promuoverebbe un rapporto più intenso tra noi, il cibo e i rifiuti. Si entrerebbe così più nel merito della qualità dell’alimentazione e di ciò che produciamo come rifiuti. Negli scarti organici da avviare al compostaggio troveremmo le tracce della nostra vita quotidiana, la relazione profonda che attraverso l’alimentazione ci lega alla terra. Il cibo e i suoi scarti come introduzione all’ecologia urbana.
Il modello policentrico è una strategia d’indirizzo, va adeguato alla specificità dei territori e dei tessuti urbani. Il compostaggio domestico e di comunità pone sin da ora problemi di adeguamento funzionale di alloggi e condomini. Mentre per gli insediamenti di nuova edificazione sarà più facile innovare i tipi edilizi, come intervenire nella città esistente? Dove trovare lo spazio per gli impianti condominiali e di comunità: nei cortili, in locali specifici all’interno dei complessi residenziali, sulle coperture, nel sottosuolo, nei parchi, negli edifici abbandonati così diffusi nelle periferie industriali delle nostre città? Non sono questi, temi che attengono alla progettazione e alla normativa urbanistica a partire dai regolamenti edilizi?
Ed ancora: quale soggetto assisterà e vigilerà sui compostatori individuali e di comunità? Ci saranno degli “albi di compostatori” come alcuni comuni stanno proponendo? E poiché non tutti compostano per l’autoconsumo, come gestire il compost prodotto, a quale soggetto cederlo (al comune, alle aziende compostatrici, a nuove strutture di servizio)?
La diffusione del compostaggio individuale e di prossimità non eliminerà la raccolta differenziata dei rifiuti organici. Avremo di conseguenza due logistiche che dovranno necessariamente integrarsi. Si aprono scenari di ricerca e sperimentazione di grande impegno.
A cura di Rosario Pavia
Riferimenti bibliografici
- Calvino I. (1972), Le città invisibili, Einaudi, Torino 1972, p.54
- Clement G. ( 2008), Il giardiniere planetario, 22 Publishing, Milano
- Landolfo P., Musmeci F. (2013), Il compostaggio di comunità, in “Energia, Ambiente e Innovazione”, Settembre-Ottobre, ENEA
- Pavia R., (2015), Il passo della città. Temi per la città futura, Roma Donzelli