Quali impianti?

Oggi tutti concordano, a parole, che si dovrebbe sostenere una politica sui rifiuti che integri le varie possibili soluzioni tecnologiche esistenti intendendo con queste non solo gli impianti ma anche i sistemi di prevenzione, gestione sul posto del riciclo, raccolta e trasporto.

Oggi, per il settore del trattamento dell’organico (ma non solo), è invece di fatto proposta, da molti degli stakeholder pubblici e privati, la sola soluzione del grande impianto integrato anaerobico/aerobico come aspetto centrale.

Vogliamo, di seguito, fare qualche ragionamento senza negare la possibile utilità dei grandi impianti ma ricorrendoci dopo aver esplorato altre soluzioni.

Riteniamo cioè che vadano esplorate tutte le potenzialità del territorio con un approccio bottom up, seguendo il principio di prossimità e di sussidiarietà.

Principi spesso sbandierati ma raramente applicati. In altri termini, forse più pratici, questo vuol dire porre in essere azioni in sequenza:

  1. il rifiuto può essere evitato? (cfr. progetti di economia circolare oppure prevenzione come il progetto Reduce[1]); Lo spreco alimentare rappresenta quasi due terzi (60%) di tutti i rifiuti organici provenienti dalle famiglie e da fonti simili;
  2. se il rifiuto viene prodotto può non essere conferito al sistema di gestione? Per esempio:
    1. può essere trattato localmente, presso lo stesso produttore (esempio autocompostaggio la cui forma più nota è il compostaggio domestico ma estendibile anche alle utenze non domestiche)?
    2. può essere trattato a livello di condominio, consorzio ecc. (compostaggio di comunità)?
  3. può essere raccolto e conferito ad un piccolo impianto locale dallo stesso furgone di raccolta da 3 mc evitando il trasporto ad un impianto remoto con il necessario trasferimento su camion grandi da 25 t?

Cosa possono fare gli Enti sovraordinati per supportare quelli sotto ordinati nell’affrontare la problematica posta dai rifiuti organici? Cosa può fare un comune per supportare le utenze a trattare in direttamente i propri scarti organici? Quali politiche tariffarie? Quale supporto dalle Regioni? Progetti quali quelli portati avanti da ENEA con Aeroporti di Roma (autocompostaggio), con ACEA con il compostaggio diffuso (es. Fiera di Roma) oppure le esperienze in Emilia Romagna di “compost sharing” (condivisione attrezzature come vagli, trituratori ecc.), i finanziamenti di alcune regioni (tra cui le Regione Lazio e Campania) per il compostaggio, l’inclusione di questi temi nei Criteri Ambientali Minimi per la politica di acquisti verdi della PA vanno nella direzione del supporto ai piccoli impianti e nella creazione di nuovi servizi collegati per il monitoraggio, l’assistenza, la conduzione, la comunicazione.

Solo in modo complementare, e forse anche successivamente, ci si potrà occupare dei grandi impianti.

Viene il dubbio se venga supposto, nell’immaginario collettivo, come più avanzata e più scientifica la soluzione grande impianto “industriale” solo perché si tratta di un impianto che possiede una sua intrinseca complicazione in confronto ad altre soluzioni più semplici, più economiche e ritenute però meno tecnologiche.

In casi simili bisognerebbe invece applicare un principio base della scienza moderna noto come “rasoio di Occam”. Questo principio asserisce che “frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora” ossia “è futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno”.

In altri termini, non vi è motivo alcuno per complicare ciò che è semplice. Secondo il Piano d’Azione per le tecnologie ambientali nell’Unione Europea le tecnologie compatibili con l’ambiente non sono solo tecnologie singole, ma sistemi totali che comprendono know-how, procedure, beni e servizi, apparecchiature e procedure organizzative e di gestione. La capacità di saper cogliere la complessità del sistema (non la sua complicazione) è essenziale per offrire soluzioni tecnologicamente avanzate.

La situazione appare simile a quella che fu il dibattito sul nucleare ove una delle argomentazioni principali era quella della grandezza degli impianti contrapposta al “piccolo e bello”. Posizione quest’ultima condivisa da molte associazioni ambientaliste compresa Lega Ambiente. Se andiamo poi a confrontare la soluzione anaerobica a quella aerobica vediamo che:

  • Nella scala gerarchica delle priorità nella gestione dei rifiuti il recupero di materia viene prima del recupero energetico. Questo vuol dire che, per essere preferibili, gli impianti di digestione devono essere accompagnati dalla successiva fase di compostaggio. Esistono infatti gli impianti integrati anaerobico/aerobico. La produzione media di compost da impianti di solo compostaggio (da rapporto ISPRA: 4 milioni t/anno di rifiuti in input e 1,6 di ammendanti in output nel 2018) può essere valutata intorno al 40% (1,6/4). I dati medi di produttività dell’ammendante, per gli impianti integrati non sono riportati (una grave mancanza) da ISPRA[2]. Da progetti presentati con varia enfasi sulla stampa, per esempio il recente progetto per l’impianto di Montespertoli 3 [3](FI), si scrive che, annualmente, da 160.000 tonnellate di rifiuti organici entranti nell’impianto si ottengono 25.000 t. di compost. Ossia 25/160=15,6%. Per l’impianto di Rende in Calabria[4] da 50.000 t/anno i progettisti stessi stimano la produzione di 8000 t/anno di compost ossia il 16%. Meno della metà del recupero di materia ottenuti mediamente da impianti di compostaggio. E questo in fase di progettazione.
  • La questione della dimensione. Si passa da una dimensione media per gli impianti di compostaggio da 20 mila t/anno a quelli di digestione anaerobica da 46.000 (più che un raddoppio) a quelli integrati anaerobici/aerobici con circa 95.000 t/anno (oltre 4 volte la dimensione media di un impianto di compostaggio). Si noti che la questione della grandezza degli impianti incide su:
  1. impatto sul territorio con relative problematiche di accettazione e controllo sociale;
  2. la collocazione in aree remote con conseguenti costi di trasporto;
  3. scarsa flessibilità del sistema. Quando si richiedono finanziamenti (esempio bancari) per tali impianti bisogna avere contratti che impegnano i comuni a conferire quote assegnate di rifiuti organici per molti anni a venire. Questo contrasta con azioni di riduzione alla fonte (esempio lotta agli spechi alimentari) che rappresenta la priorità europea nella gestione dei rifiuti. In effetti molti impianti del Nord Est oggi non potrebbero fare a meno di quanto conferito dalle regioni del centro/sud perché progettati anni addietro in una logica di crescita esponenziale dei rifiuti che poi non si è verificata (per fortuna).
  4. Alta vulnerabilità del sistema: grandi impianti vuol dire anche, a parità di trattamento, pochi impianti. Il fermo di uno degli impianti comprometterebbe l’intero sistema di trattamento.
  5. Le occasioni di conoscenza, offerte dai piccoli impianti posti accanto alle utenze, rimuovono, anche a favore degli impianti più grandi, il timore per un’istallazione sconosciuta diminuendo la sindrome NIMBY.
  • L’internalizzazione dei costi è una delle questioni chiave nel settore dell’ambiente. Se esistono costi “nascosti” o che comunque se questi incidono su più capitoli diversi, diviene difficile fare dei confronti. Il compost non gode di sussidi. Nel caso particolare le sovvenzioni all’anaerobico, come produttore di energia rinnovabile, alterano il quadro economico spostando voci di costo dal settore rifiuti a quello energetico. Se non ci fossero sovvenzioni i biodigestori non avrebbero una sostenibilità economica. Sulla “rinnovabilità” dei flussi biologici che rappresentano anch’essi, oltre a quelli dell’estrazione di materiali vergini, un fattore di insostenibilità dello sviluppo, ci sarebbe molto da ridire. Inoltre l’uscita dalla società della combustione rappresenta una delle sfide chiave del nostro tempo. Il concetto di CO2 neutra, dal punto di vista delle emissioni climalteranti, per quanto riguarda flussi biologici la cui attivazione ha richiesto e richiede sconvolgimenti planetari potrebbe probabilmente essere posto in discussione. Quanto incide, per esempio, la disponibilità di metano per autotrazione nel ritardo nell’adozione di mezzi elettrici per la raccolta dei rifiuti da parte di un’azienda che possiede un biodigestore?

È importante sottolineare il quadro all’interno del quale sono mosse le nostre osservazioni e proposte.

Osserviamo infatti in altri settori, come quello energetico, uno sviluppo e una trasformazione in atto che, in qualche modo, invidiamo. Ci riferiamo principalmente al settore energetico dove la produzione locale e diffusa è incentivata, vi è una integrazione di sistema tra grandi e piccoli produttori, la rete, la presenza delle ESCO, il risparmio energetico in edilizia è sostenuto ecc. Si è assistito negli ultimi anni, in altri termini, alla così detta Energy Transition.

Dal monopolio ENEL e una produzione centralizzata, si è passati alla presenza di una miriade di attori. Le offerte all’utenza sono altamente differenziate e su misura delle necessità.

Riteniamo sia oggi il tempo di una “Waste transition” che, in modo analogo a quanto assistito per l’energia, porti anche il sistema dei rifiuti nel III millennio.

In questa transizione il compostaggio diffuso e il compostaggio di prossimità divengono centrali. In questo processo AIC in tutti diversi tavoli e opportunità vuole sempre evidenziare il ruolo fondamentale che il compost ha, oltre che per l’uso in agricoltura e nella florovivaistica, anche nella strategia complessiva di lotta al cambiamento climatico, alla sostituzione di materiale non rinnovabile (come la torba) o di agrochimici, alla promozione dell’utilizzo di materie prime seconde e dei sistemi di riduzione alla fonte dei rifiuti prodotti, alla lotta contro lo spreco alimentare, all’aumento della ritenzione idrica del suolo e la lavorabilità dei terreni. La sfida da raccogliere è interna all’uscita dalla società della combustione (fosse anche la combustione di risorse ritenute rinnovabili) e dell’usa e getta.

L’AIC promuove, per la gestione e valorizzazione della frazione organica, una prassi semplice basata sul principio di sussidiarietà e di prossimità con la conseguente costruzione di capacità locali di gestione rifiuti.

Il sistema dei grandi impianti quindi, viene integrato con l’idea della capacità distribuita, della gestione locale e della rete. Un approccio la cui importanza, ci sembra, la pandemia abbia sottolineato. Si evidenzia che l’obiettivo è quello di diminuire la vulnerabilità del sistema e aumentare l’accettabilità e la consapevolezza sociale (molti piccoli impianti vicini ai luoghi di produzione invece che uno grande e spesso distante).

È in effetti dalle diverse idee di futuro che possono essere definiti il progresso o la regressione da uno scenario auspicabile. Il nostro vede protagonista il territorio e la cura, delle persone e delle cose che ci circondano, insieme a una riconquista del sapere e del saper fare locale. Rifiuti compresi.

 

NOTE

[1] https://www.sprecozero.it/cose-il-progetto-reduce/

[2] ..stessi impianti di produzione che non ne misurano le quantità (rapporto Rifiuti ISPRA 2019, pagina 86)

[3] https://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/a-montespertoli-investimenti-da-30-milioni-di-euro-in-arrivo-un-nuovo-biodigestore/

[4] http://www.calabramaceri.it/attachments/brochure%20intera%20Calabra%20Maceri.pdf